Anche Tartaglia
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diversi secoli dopo si interessa a questo enigma
Due altri hanno danari, poniamo Zuane,& Marco, disse Zuane a Marco
&se tu mi desti 6 di tuoi denari ne averia poi tanti quanti ti,&
Marco rispose e disse a Zuane
&se mi desti ancora tu a me 9. di tuoi ,& ne haveria dui tanti di te,
se adimanda quanti haveva ciascaduno di loro.
E’ evidente che il problema non ha alcun interesse pratico: sapere la risposta è completamente
inutile. Giovanni e Marco nel formulare le domande devono già sapere le risposte e un eventuale
terzo interlocutore, se interessato alla soluzione del problema, potrebbe chiedere direttamente a loro
quanti denari hanno. E’ solo l’enigma e il modo di risolverlo che è interessante. Fibonacci dedica a
questo argomento gran parte della terza parte del capitolo XII presentando questo e tanti altri
enigmi della stessa famiglia dove il numero degli uomini aumenta sempre e diventa potenzialmente
infinito. Vi sono poi enigmi risolvibili e enigmi irrisolvibile e l’impossibilità si mostra in diverse
forme. C’è insomma, dietro a questi surreali problemi, una ricerca scientifica, fatta di esempi
significativi, una tensione educativa dove vengono esposte diverse idee matematiche, diversi
procedimenti, diversi approcci tutti tesi a ragionare sullo stesso tema come a significare ancora che
l’importante non è trovare la soluzione, ma esercitare il pensiero speculativo. Tra questi metodi c’è
la regola recta introdotta dagli arabi con la quale, dice Fibonacci, si possono risolvere infiniti
problemi (XII.3.56) ], regola detta anche, successivamente, la regola della cosa. Si tratta di
introdurre una incognita, la cosa, di trovare una equazione, di risolverla per via algebrica e, infine,
di interpretare le soluzioni per vedere se sono ammissibili o meno. Quest’ultimo passo è molto
importate e oggi spesso ignorato perché permette di distinguere chiaramente tra l’equazione ( che è
un piccolo modello di quella situazione) e l’interpretazione delle soluzioni nel contesto del
problema: le soluzioni sono valide e rigorose all’interno del modello ma quando queste sono riferite
al contesto del problema potrebbero non essere ammissibili. E’ un primo esercizio elementare che
aiuta a mettersi in guardia davanti ai risultati previsti da un algoritmo e alla loro aderenza o meno al
contesto.
La prima idea ma, come abbiamo detto, ce ne sono diverse, è quella più vicina alle “regole”
medioevali e sarà anche quella seguita da Tartaglia. L’immagine è quella dell’albero che dà il titolo
alla sezione (la terza del XII capitolo) dove è collocato il problema. L’albero è diviso in due parti,
ad esempio una sotto terra e una fuori, si conosce la frazione di una parte e la grandezza effettiva
dell’altra e si vuole sapere la lunghezza complessiva dell’albero. Si capisce che è facile risolvere il
problema ed anche come si può fare. Indicando con A la lunghezza dell’albero, kA la sua frazione e
a la parte nota, se ad esempio A-kA=a allora, comunque si scelga un valore A
0
, conoscendo k,
possiamo calcolare a
0
= A
0
-kA
0
e, poiché
.
Nella tradizione medioevale successiva, con un linguaggio colorato, A
0
si è chiamata la falsa
posizione e questo metodo risolutivo, il metodo della falsa posizione. Inoltre veniva coniata da
Fibonacci un’espressione linguistica, diventata poi nei suoi successori, un mantra da imparare a
memoria, che poneva il problema e insieme la sua soluzione: (XII.3.2)
3
:
2
!"#$"%&'"((Aritmetica!,!libro!XVI)(
3
Abituati a dire; per A
0
che ho posto viene a
0
, cosa devo porre perché venda a ? Bisogna moltiplicare insieme i numeri
estremi, cioè A e a
0
, e il totale va diviso per il numero che resta.