solo Palermo sembra offrire all'epoca una simile opportunità per la presenza in città
di molti intellettuali greci. Un altro luogo dove poter leggere Euclide in greco, poteva
essere all'epoca Costantinopoli, ma non si hanno notizie di un eventuale suo
soggiorno lì.
Leonardo si applica dunque ad uno studio approfondito. Probabilmente sotto la
guida di un maestro (Domenicus Hispanus?) e in un ambiente stimolante quale la
corte di Federico II, che riunisce dotti provenienti da ogni luogo. Il re di Sicilia e
imperatore del sacro Romano Impero, seguendo la tradizione dei re normanni, ama
circondarsi di una corte cosmopolita di intellettuali. Gli stessi “cognomi” di alcuni
(
Hispanus, Scottus, Panorminatus, Antioc
) stanno ad indicare come il sovrano
accolga il sapere a prescindere da fede e provenienza. Una corte che annovera come
gemma preziosa Michele Scotto
3
, al quale Leonardo dedica la seconda edizione del
1228 di
Liber abaci
. Un personaggio ancora famoso un secolo dopo, tanto da essere
menzionato da Dante e da Boccaccio, anche se i due, nel citarlo, riducono il suo
sapere a quello di un indovino
4
(era in effetti, tra le altre cose, anche l’astrologo di
corte).
È in questo ambiente ricco di sollecitazioni che Leonardo rivolge la sua attenzione
ad argomenti oggetto di ricerca matematica. Risultato di questo interesse sono le
produzioni citate: brevi testi nei quali descrive di come ha affrontato i quesiti
proposti da Giovanni Palermitano, il matematico di corte.
Quando il maestro Domenico mi condusse per presentarmi ai piedi della
vostra Altezza, principe gloriosissimo signore Federico, il presente
maestro Giovanni di Palermo mi propose il seguente problema, non
meno pertinente alla geometria che al numero: trovare un numero
quadrato tale che aggiungendogli o togliendogli cinque resti sempre un
numero quadrato
5
.
3
Michele Scotto (1175-1232) fece conoscere al mondo latino il lavoro di Averroè (1126-1198), il
filosofo islamico che “
il gran comento feo” come ebbe a ricordare Dante nel IV canto. Il
commento è quello delle opere di Aristotele.
4
«
Quell'altro che ne' fianchi è così poco,
Michele Scotto fu, che veramente
de le magiche frode seppe 'l gioco
.» (Canto XX, nella bolgia degli indovini)
«
Dovete adunque, - disse Bruno - maestro mio dolciato, sapere che egli non è ancora guari che in
questa città fu gran maestro in nigromantia, il quale ebbe nome Michele Scotto, per ciò che di Scozia
era, …
» (IX novella dell’VIII giornata)
5
Tutte le citazioni in italiano volgare sono tratte dalla traduzione, forse databile 1464, di
Maestro Benedetto da Firenze del testo in latino, in
Il libro dei quadrati di Leonardo Pisano
di E.
Picutti, ed. Olschki. Questa a pag, 283